Sabato 31 gennaio, ore 18.30

La TRILOGIA sulla migrazione di Giuseppe Massa.

Ingresso ad inviti su prenotazione telefonica allo 0916174040

TRILOGIA
“CHI HA PAURA DI MIGRARE?”
di Giuseppe Massa
A.C. SuttaScupa

Chi ha paura di migrare? è la cornice all’interno della quale vengono inseriti tre quadri del percorso di ricerca sul mondo dei migranti realizzato in questi ultimi anni dalla compagnia Sutta Scupa. Il migrante, nella sua essenza estraneo verso il mondo che lo circonda, rappresenta al meglio l’uomo contemporaneo con le sue contraddizioni. Colui che è costretto ad abbandonare la propria terra per approdare altrove, non lascia soltanto la propria casa ma anche il proprio presente e si trasferisce in un altrove temporale: senza passato e in un futuro prossimo fatto di necessità primarie. In questo senso Chi ha paura di migrare? affronta più in generale l’alienazione e la estraneità culturale (e identitaria) che vibra dentro le menti e i corpi di tutti quelli che, per assenza di alternative o per intimo desiderio, hanno lasciato una parte di sé altrove nello spazio e nel tempo.

Primo Tempo

CHI HA PAURA DELLE BADANTI?
testo e regia: Giuseppe Massa
con: Emiliano Brioschi, Simona Malato, Cristiano Nocera
luci: Cristian Zucaro
suono: Vincenzo Aiello
assistente alla regia: Simona D’Amico
laboratorio di lingua rumena: Mihaela Agapie

 Spettacolo vincitore del Premio Museo Fratelli Cervi di Gattatico(Reggio Emilia), Luglio 2014

In Italia la stragrande maggioranza delle migranti rumene trova occupazione come badante presso le abitazioni di anziane bisognose di cure o nelle case di giovani donne afflitte da handicap. Per i rumeni di sesso maschile trovare lavoro risulta invece assai più complicato. Questa semplice analisi occupazionale compiuta sulla comunità col maggior numero di presenze in Italia, mi ha rimandato con sorpresa alle Serve di Jean Genet, e in particolare al suo gioco delle apparenze portato alle estreme conseguenze. Nello spettacolo dunque, Emil e George fingono di essere due donne riuscendo ad accaparrarsi i due posti di badante di cui Olga (una giovane paraplegica) ha bisogno. Qui si genera una prima finzione teatrale, in verità preceduta da altre finzioni: i migranti rumeni sono interpretati da due attori italiani; Olga da una “sanissima” attrice. Olga controlla, spia, ruba frammenti di vita a Emil e George. L’erotica morbosità con la quale li osserva  potrebbe essere la risposta al perché faccia finta di non accorgersi che in realtà di fronte a lei si trovano due uomini che, a loro volta,  fingono di essere due donne. A questo punto, la domanda che ci siamo posti è stata la seguente: quali conseguenze provoca nell’animo umano vivere in un costante clima di umiliazione e ambiguità che cancella l’identità culturale e, nel gioco scenico, ne annulla e mortifica anche la sessualità? Ne è uscita fuori quasi una commedia degli equivoci che attraverso il lato grottesco di questa schiavitù moderna prova a rendere manifesta la tragedia di tutti i popoli migranti.

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Secondo Tempo

NEL FUOCO
(a Noureddine Adnane, un martire a Palermo)

testo e regia: Giuseppe Massa
con Maziar Firouzi
scene e costumi: Philippe Berson e Giuliana Di Gregorio
luci: Rudy Laurinavicius
suono: Francesco De Marco
assistente alla regia: Dario Raimondi

 Nel Giugno del 2012, al Festival Voicing Resistance tenutosi alla Ballhaus Naunynstrasse di Berlino, viene presentata la mise en espace del testo per la regia di Lukas Langhoff.

 Premessa l’11 Febbraio del 2011, il venditore ambulante Noureddine Adnane di 27 anni, vessato ripetutamente dai controlli di alcuni vigili urbani, decide di togliersi la vita dandosi fuoco in pieno giorno a Palermo.

Un secondo prima dell’ultimo gesto la tanica di benzina è già vuota. La foto di Noureddine è proiettata nel fondo scena, l’attore gocciola liquido sul palco. Un secondo che si dilata all’infinito. Attraverso un flusso di parole prendono luce alcuni frammenti della realtà vissuta dal giovane venditore ambulante. La referente di queste ultime parole è Habibi, la figlia di due anni e mezzo rimasta in Marocco insieme alla moglie. Un mix di italiano, siciliano, arabo e francese è la lingua che esplica la condizione emotiva del migrante nel racconto frammentario. I vigili urbani presenti durante gli ultimi istanti della sua vita vengono evocati attraverso una rigida partitura gestuale e  diventano eterni e colpevoli testimoni, così come tutta la città. La bancarella portatile piena di oggetti Made in China è la sua casa. Alla fine del percorso si giunge al massimo livello di disperazione-ribellione che può un uomo davanti alla negazione dei propri diritti: riprendersi ciò che più gli appartiene a cominciare dal proprio io fisico, distruggendo e martirizzando paradossalmente il proprio corpo e mettendo così fine alla sua stessa vita terrena. Una testimonianza sgrammaticata e poetica che prendendo spunto dalla storia di Noureddine Adnane esplora più in generale la condizione di vita dei migranti e la nostra capacità di relazione con essi.

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Terzo Tempo 

NÌVURU
PERFÒRMANCE

di Giuseppe Massa
laboratorio di pugilato Chadli Aloui

 con:  Simona Malato, Maziar Firouzi, Shahin Firouzi, Giuseppe Tarantino

scene e costumi: Linda Randazzo
assistente alla regia: Dario Raimondi

 Il progetto nasce da un laboratorio rivolto in particolare alle comunità di migranti presenti in città. Un maestro di pugilato si è occupato di passare ai partecipanti le tecniche fondamentali di questa disciplina sportiva così vicina nella sua necessità di abnegazione e meticolosità fisica e mentale alla disciplina teatrale. Durante le improvvisazioni sulla nuda scena, i partecipanti hanno potuto sperimentare e liberare la loro creatività mostrando il loro particolare punto di vista su una tematica così delicata come il razzismo. L’opera teatrale I negri di Jean Genet ha donato al lavoro un immaginario di partenza e le suggestioni necessarie allo sviluppo di una nuova drammaturgia che via via ha preso forma portando in dote maschere bianche, luci al neon e finzione dentro la finzione. Le visioni di carattere più storico-sociologico provengono dal saggio “Storia sociale del colore nero” di Michel Pastoureau. Da questo mix di punti di riferimento e fonti di ispirazione ne è venuta fuori una performance che sembra essere una sorta di gioco al massacro in cui vittima e carnefice si scambiano ripetutamente di ruolo andando a delineare un racconto allucinato. La necessità di riscatto che cova nei migranti di seconda generazione, quegli stranieri, cittadini di serie b, nati e cresciuti spalla a spalla coi nostri stessi figli, lascia posto al cinismo e all’impossibilità di condivisione che diventano i veri padroni della scena, la quale trasformandosi in un ring meta teatrale, diviene a sua volta una spietata metafora dei nostri tempi, idioti come ogni razzismo, fosse anche quello di classe.